Tutto o niente by Marco Tardelli Sara Tardelli & Sara Tardelli

Tutto o niente by Marco Tardelli Sara Tardelli & Sara Tardelli

autore:Marco Tardelli, Sara Tardelli & Sara Tardelli [Tardelli, Marco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


VI

Vincere

La mia maglia azzurra ai Mondiali del 1982 era la numero 14. Aveva un piccolo scollo a V e un colletto bordato con i colori della nostra bandiera. Sul cuore, lo stemma dell’Italia. La prima volta che l’ho indossata mi sono emozionato: non immaginavo neanche di poter giocare un Mondiale ed essere titolare della Nazionale maggiore. La stringevo tra le mani, passavo e ripassavo i polpastrelli sulle cuciture intorno al numero 14, era la mia armatura. Era come infilare la testa in un sogno, e sentivo cadere sulle spalle non solo una maglia, ma anche la passione del mio Paese. Addosso, era come una seconda pelle.

Quella maglia mi faceva battere il cuore e sentire vicino ai tifosi della Nazionale, che erano tutti uniti. Ero uno di loro. Gli italiani erano ancora considerati un popolo di migranti, con una reputazione all’estero tutta da costruire. Eravamo alle battute finali degli anni di piombo, c’erano rigurgiti di tensioni sociali, lutti e paura. Avevamo bisogno di riscoprire le nostre qualità. Pur essendo un piccolo ingranaggio nella complessa macchina del Paese, la Nazionale poteva farci credere di essere i più forti del mondo.

In campionato il mio rapporto con i tifosi era diverso, meno empatico. Anzi era piuttosto conflittuale, perché sapevo che da un momento all’altro poteva esplodere una polemica o una contestazione. Quindi, essere in Nazionale non era solo un traguardo sportivo, rappresentava anche l’opportunità di fare qualcosa di buono per l’Italia. La faccia era la mia, ma il desiderio di riscatto era quello di tutti gli italiani. E poi pensavo ai nostri connazionali sparsi per il mondo, e mi sarebbe piaciuto regalargli l’ebbrezza di una vittoria.

Se la mia passione per il calcio non avesse incrociato un pizzico di fortuna, chi sarei diventato? Sarei stato felice lo stesso? A guardarmi con una valigia in mano e nient’altro, sarei sembrato diverso dagli italiani che pochi decenni prima erano emigrati in Germania, in Belgio, in America, a caccia di futuro? La risposta è no. Sono rimasto in Italia perché mio padre Domenico è stato più cocciuto dei suoi parenti e ha provato a resistere. Ma sarei potuto partire anch’io con la mia famiglia per l’Argentina come avevano fatto i parenti di mia madre, oppure per l’Australia o l’America come i cugini di mio padre. Invece, il destino mi aveva spinto da un’altra parte.

Quell’anno avevo vinto il quarto scudetto con la Juventus, quello della seconda stella, ma era stata una stagione sofferta. Mi stiravo spesso e non riuscivo a trovare una continuità di rendimento in una corsa scudetto avvincente e agguerrita. Era stato un duello con la Fiorentina fino all’ultima giornata. Il testa a testa era finito a Catanzaro con un rigore eseguito magistralmente dal mio grande compagno in bianconero Liam Brady a 15 minuti dal fischio finale, mentre la Fiorentina fu bloccata dal Cagliari.

Ma non c’era stato molto tempo per festeggiare, perché siamo partiti quasi subito per i Mondiali in Spagna e siamo arrivati a Pontevedra, nei pressi di Vigo, sede del nostro primo ritiro preceduti dalle durissime critiche della stampa italiana.



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